"Lavoro, persone, genere", gli impatti dell'emergenza sanitaria sulle imprese della Zona Industriale Roveri di Bologna

Ricchezza di genere, cultura organizzativa e smart working tra i fattori per "reggere" la crisi

di Serena Maini

L'emergenza sanitaria ha portato a cambiamenti all'interno delle imprese, costrette a fare scelte rapide per potersi adeguare alla nuova situazione e continuare la propria attività. Partendo da questi presupposti la Città metropolitana di Bologna ha promosso l'indagine "Lavoro, persone, genere", realizzata da C.O. Gruppo e Associazione Bateson, che ha voluto fare il punto su quanto fatto in questi mesi dalle imprese del territorio metropolitano bolognese: dalle scelte operate, ai risultati raggiunti, ai timori da fronteggiare.

 
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L’analisi si è concentrata sulla "Zona Roveri" di Bologna, individuata come caso pilota, essendo un’area storica del tessuto industriale della città che in questi anni si è dimostrata capace di saper evolvere in un modello integrato di produzione e servizi. Al questionario, somministrato nel mese di luglio 2020, hanno risposto 135 imprese.
L'indagine, che è stata rivolta ai vertici aziendali, affronta gli effetti della pandemia sulle imprese, su lavoratori e lavoratrici, rispetto a tre dimensioni di analisi:

  1. le scelte di revisione dell’organizzazione del lavoro
  2. le conseguenze sulla dimensione psico-sociale
  3. gli impatti in tema di politiche di genere nella dimensione lavorativa
 
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Lo studio ha rivelato che le aziende più grandi hanno avuto maggiori possibilità di investimento in strumentazioni tecnologiche per la messa a punto di modelli di lavoro da remoto. Tuttavia, questi interventi non sono riusciti ad arginare le perdite di fatturato, considerate maggiori rispetto alle aziende più piccole dell’area. Una possibile chiave di lettura potrebbe riguardare, prima di tutto, una strutturale e maggiore lentezza nel mettere a punto in modo diffuso meccanismi di lavoro da remoto. Al tempo stesso, le realtà più grandi sono anche quelle che, nel medio-lungo periodo, hanno mantenuto un grado più alto di lavoro da remoto, probabilmente anche a giustificazione degli investimenti affrontati.

 
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La cultura aziendale risulta essere un fattore di successo più incisivo rispetto alla dimensione organizzativa o al fatturato. Ovvero, il grado di diffusione del lavoro da remoto e le volontà di investimento in comunicazione e nuove tecnologie in risposta alla crisi sono fattori mediamente più presenti nelle realtà giovani (meno di 10 anni di attività) e con maggiore ricchezza di genere (percentuali di donne in azienda dal 50% in su).

Le aziende con questi fattori (e questa cultura) risultano essere anche quelle che, in media, hanno un vantaggio competitivo più forte nel rispondere alle sfide di adattamento ad un ambiente esterno sempre più mutevole e imprevedibile.

In questi casi, se a tali fattori si aggiunge anche il fattore dimensionale, si nota che la dimensione piccola da limite diventa opportunità, in quanto permette una capacità di cambiamento più agile.

L'analisi dei dati rivela, poi, maggiori difficoltà di reazione e risposta per le imprese medio-piccole, che rappresentano una quota significativa di popolazione aziendale della Zona Roveri, e che sono così caratterizzate: tra i 10 e i 20 anni di anzianità, meno di 50 dipendenti e con un saldo di genere tendenzialmente squilibrato sulla componente maschile dei lavoratori. Queste sono le aziende che maggiormente risentono degli impatti organizzativi della pandemia e le realtà che beneficerebbero più di altre della possibilità di fare rete, di scambiarsi buone pratiche e quindi di evolvere attraverso il confronto e il supporto reciproco, facendo squadra.

 
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Il cambio di paradigma non è tanto e solo una questione tecnologica: chi ha applicato il lavoro da remoto si è anche accorto che la componente strumentale non è che un prerequisito minimo dell’intero processo di cambiamento. Molto passa dall’utilizzo che si decide di fare degli strumenti. La tecnologia non è un mezzo per l’organizzazione. È essa stessa organizzazione.
Cambiare il modo di lavorare richiede la conoscenza degli strumenti e l’essere pronti a mettere in discussione la propria cultura aziendale, la quale, indicano i dati degli stessi rispondenti, non sempre è stata pronta a reagire al fenomeno della pandemia.

 
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Un altro aspetto emerso dalla ricerca è come la pandemia abbia messo in luce la dimensione umana del dipendente. La commistione forzata della sfera professionale e di quella privata, portata all’estremo nei mesi di lockdown con la chiusura delle scuole, ha obbligato i vertici aziendali a considerare il dipendente sotto una nuova ottica, e a porre in primo piano il tema del bilanciamento dei tempi di vita e lavoro.

Quello che si è registrato non è da considerarsi tanto un traguardo, quanto piuttosto un’accelerazione di un percorso verso la messa a punto di specifici dispositivi: la flessibilità oraria, il part-time e le forme di assicurazione integrativa hanno registrato un aumento all’interno delle aziende, ma non risulta oggi ancora diffusa in modo pervasivo. La gestione attiva del benessere del dipendente sta iniziando a diventare un tema di riflessione anche nelle aziende meno strutturate.

Infine, i dati raccolti sul rapporto donne a lavoro, ha messo in evidenza che la ricchezza di genere garantita dalla diversità in azienda è uno dei fattori di maggior successo per la sopravvivenza dell’organizzazione in un ambiente sempre più incerto e mutevole.
L’esperienza della prima ondata ci ha mostrato una tendenza marcata nel favorire il lavoro femminile da casa. Questo di per sé non è, oggi, un problema, tutt’altro: l’utilizzo dello smart working ha permesso infatti una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in una situazione, peraltro, del tutto straordinaria. I dati della ricerca, in questo senso, confermano questa visione, a prescindere dal genere dei rispondenti.
Sarà da tenere monitorato, in prospettiva, il grado di utilizzo del lavoro da remoto in un’ottica di genere, assicurandosi che alla maggiore tutela dei tempi di vita-lavoro non corrisponda una maggiore e più prolungata lontananza delle donne dal posto di lavoro, a discapito di una maggiore presenza maschile in ufficio, che potrebbe in quel caso condurre a un’esclusione delle donne dalla vita attiva in azienda e dai processi decisionali.

 
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Le sette lezioni dell’indagine in sintesi

  1. Essere più grandi non significa necessariamente aver retto meglio gli effetti della crisi. (e nemmeno essere più piccoli!)
  2. Per affrontare la crisi, conta di più la cultura organizzativa rispetto alla dimensione aziendale ed economica.
  3. Esiste un identikit di azienda mediamente più soggetta agli effetti della crisi (le imprese medio-piccole, tra i 10 e i 20 anni di anzianità, con meno di 50 dipendenti e con un saldo di genere interno ai dipendenti squilibrato sulla componente maschile).
  4. Adottare il lavoro da remoto in azienda non è tanto una questione tecnologica (la cultura aziendale è la vera discriminante).
  5. La pandemia ha messo in luce la dimensione umana del/della dipendente.
  6. Lo stress da lavoro correlato rischia di essere il vero «nervo scoperto» delle aziende nel corso della seconda ondata pandemica (le aziende spesso non sono ancora pronte a prendersi cura del benessere mentale dei propri lavoratori e lavoratrici).
  7. Le donne a lavoro: un patrimonio da preservare (la ricchezza di genere è uno dei fattori di successo per affrontare i cambiamenti imposti da questa crisi).

 

“Questo lavoro di indagine svolto gratuitamente da giovani ricercatori di C.O. gruppo e dalla Associazione Bateson – è il commento del sindaco metropolitano Virginio Merola - ci offre una prima base di conoscenza sull’impatto dell’emergenza Covid legata al lavoro da remoto. L’interesse delle indagini sta anche nel concreto delinearsi di nuovi bisogni e nuovi modelli culturali che offrono una base concreta per progettare interventi di implementazione del lavoro agile in modo più consapevole, e quindi più efficace. Di particolare interesse sono le sette lezioni finali che vengono proposte sulla base dei dati raccolti. Infatti, collegando questi 7 punti si disegna una mappa di possibili risposte, fondate sulla comune consapevolezza del valore e dei diritti delle donne al lavoro, risposte che imprese e istituzioni possono costruire insieme. Dunque, una precisa lezione metropolitana imparata per migliorare la condizione di lavoro, attraverso l’attenzione all’umanità del lavoro delle donne, e quindi dei risultati complessivi delle imprese”.

 

Data di pubblicazione: 13 novembre 2020